Come perdere la dignità in una sera soltanto
Questa qui va a tutte le signore lì fuori. Esatto donne, questo tavolo è riservato.
Non mi prendete per femminista, gli uomini sono fantastici e possiedono quella cosa che io reputo squisita tra tutte le cose: il dono della sintesi. Ah, buon dio, il dono della sintesi, questo straniero nella terra delle tette.
Però rimane il fatto che il piatto del giorno è una specialità che nei salotti delle femmine va fortissimo. Si tratta di quel talento naturale, poi affinato durante gli anni e le storie finite al cesso, di prendere la nostra dignità, metterla sotto la suola delle scarpe e ballarci sopra il tip tap fino all’ultima nota. La scena si svolge di solito durante le ore serali preferibilmente notturne, in quella che dal mondo con la barba viene definita LA SCENA DA MATTA.
Forza, lo so che ci siete quasi. Qualcuna di voi starà abbassando le spallucce piano piano come a voler nascondersi. Tartarughine, su, tranquille, E’ SUCCESSO A TUTTE.
E tutte, come te, pensavano di avere la situazione perfettamente sotto controllo dicendo a gran voce all’amica del cuore “Ah, mo’ me sente sto stronzo, je faccio vede’ io”. Poi succede che si apre quella io credo essere un qualche tipo di congiunzione astrale speciale che ci fa esplodere. Ed è così che si apre il sipario su La grande figura di merda che stiamo per fare.
Da questo momento in poi la discesa all’inferno è una cosa piuttosto veloce, come quello scivolo dell’aquafan che si chiama kamikaze, ad angolo retto contro il vuoto senza capirci un cazzo. In un nanosecondo passiamo dall’essere la copia pompata di Soldato Jane all’agnello ferito in punto di non ritorno. La maggior parte di noi preferiscono il telefono, anche se devo dire che la versione dal vivo rimane la più completa.
Le più allenate so che stanno facendo sì con la testa, le principianti ancora brancolano un pochino e quindi sarò più chiara. Sto parlando di quelle situazioni terribili in cui ci attacchiamo a el hombre come un maledettissimo koala impazzito si attaccherebbe all’ultimo albero di eucalipto rimasto su questa terra. Co’ le unghie e coi denti senza mollare mai. Lui non ci risponde al telefono? Ma li mortacci tua chissà che stai a fa, mo’ te chiamo finché non si scarica tutto. 20 minuti dopo fanno 20 chiamate perse e così via. Oppure lui ci dice di no e ci attacca il telefono in faccia (Oh, è brutto, lo so, però) e quindi ancora mortacci tua etc. Oppure ancora, in generale, ci ostiniamo manco fossimo Napoleone Bonaparte a Waterloo, a portarci a casa sta partita. Più cerchiamo di uscire dalla situazione e più sprofondiamo, come nelle sabbie mobili. Decidiamo che vogliamo mandare l’ultimo messaggio, quello definitivo, quello da principe del foro che lascia tutti stesi. Lo facciamo. Poi ci viene in mente qualcos’altro e allora con una scusa ridicola ne mandiamo un altro, altrettanto definitivo e glorioso e per cinque minuti stiamo ferme. Poi però non ci arriva nessuna risposta, oddio, l’ha letto, che stronzo, e non mi dice niente? Cioè io non significo niente per lui nemmeno come persona?! A questo punto, saggezza obbliga che ci si dovrebbe fermare, ma noi siamo inarrestabili e ce ne freghiamo della saggezza. Quindi prendiamo di nuovo il telefono e passiamo ancora una volta alla fase mortacci tua etc.
In questa fase si cominciano a sentire le prime avvisaglie che tutto è perduto ma può sempre peggiorare. Ho un’amica molto allenata che è specializzata negli appostamenti. Io le dico sempre che dovrebbe fare la detective, ma lei preferisce così. Le riescono benissimo le sorprese nei momenti speciali, come quest’ultima volta che si è attaccata al citofono dell’ormai ex ragazzo, alle 3 di mattina perché ad un certo punto te parte la brocca, mi ha detto.
La scena della pazza io la chiamo piuttosto la scena dell’autogol. Stiamo ancora giocando ma decidiamo di mandare tutto a puttane con una forza inarrestabile. Pensiamo di trovare finalmente il modo per farci sentire forti e chiare, di declamare i nostri diritti, di possedere il sacro fuoco della saggezza e della giustizia, invece facciamo un casino.
Ci facciamo vedere così fragilone, così lamentose, così disperate quando ci negano qualcosa. Sappiamo che se mollassimo migliorerebbe e invece non molliamo. Ci sono le boss assolute della categoria che arrivano anche alla fase della preghiera, cantilenando una serie smodata di ti prego e per favore che mamma mia. A volte poi trovano dall’altra parte il principe che ti risponde con i favori si chiedono alla madonna. Che momenti mistici.
C’è poi un punto che rende questo piatto speciale più adatto alle signore, NOI PIANGIAMO MOLTO SPESSO. Come sinfonia di accompagnamento devo dire che dà un tocco speciale alla scena da pazza, un elemento chiave per accompagnare velocemente la dignità verso l’uscita.
Perché non riusciamo a fermarci? Perché a volte proprio non riusciamo ad essere diplomatiche e superiori e andarcene via impettite, fregandocene di avere l’ultima parola, capendo che stiamo solo perdendo tempo, facendo semplicemente quello che alla fine sappiamo benissimo essere la cosa giusta da fare, perché?
Ragazze ma che ne so, non sono Nostradamus, non sono Vanna Marchi, né la più saggia su questa terra, io sono una di voi.
Di sicuro più di una volta, diciamo tante ma non tantissime, mi sono fatta degli autogol, di quelli che poi ti svegli e ti penti con tutta te stessa. Se l’ho mai fatto per amore? Ma certo che no, l’ho fatto perché sì, perché volevo vincere e invece ho perso di netto. Da certe esposizioni non si può mica tornare indietro, ci siamo fatte vedere per le bambine capricciose che in certi momenti sappiamo essere. Non c’è paura di tradimento, gelosia, rifiuto o ansia che tenga. Non c’è argomentazione razionale che porterete, problema che racconterete, lacrima che verserete, state per buttarvi dal kamikaze, fate un passo indietro.
Quando sentite che state per regalare quella che pensate essere la parte più sincera del vostro cuore, fate un cazzo di passo indietro e ricordatevi che invece state per fare una grandissima figura di merda. Quando la sentite che sale non vi spaventate, correte dalla vostra migliore amica con una bottiglia di vino, fate una gara a chi delle due urla più forte. Se quando la bottiglia sarà finita vorrete ancora farvi quell’autogol allora daje, chi sono io per fermarvi? Ma se resisterete una notte io vi prometto che la mattina è tutto diverso.
Lasciamo che sospettino che siamo tutte delle isteriche squilibrate e bisognose di affetto, ma lasciamo pure che credano che forse non li aspettiamo.
Olimpia Parboni Arquati