Confessioni di una psicologa senza filtro

di Olimpia Parboni Arquati

The big ansia

La psicologia non è un paese democratico. Si parla di un territorio in cui a governare sono sempre i quattro soliti stronzi e a tutti gli altri tocca il gusto amaro delle conseguenze e pagare le tasse per esserci capitati dentro.
Se succede che ascoltiamo sempre gli stessi discorsi in giro finisce che li prendiamo per l’unica verità possibile. La moda, oh abitanti di questo mondo e non di un altro, è una presenza che incombe e non possiamo mica fare finta di esserne immuni al 100%. Perché alla fine pure quando gli vai contro ci sei comunque dentro, se odi qualcosa ci pensi lo stesso numero di minuti che se la ami, giusto?

Ecco, a noi ci è capitato l’impero dell’ansia. Una vita a pane&ansia, ragazzi miei. La parola che se la cerchi su google la definizione di wikipedia ti compare solo per seconda, al primo posto la trovi già in comunella con “Disturbo“. E questo succede alla maggior parte delle parole che prende in prestito la Psicologia dal linguaggio comune, prima la malattia della parola e poi il dizionario. Come i più polemicotti tra di voi potranno intuire, è anche così che si costruisce un linguaggio comune malato, mancante di qualcosa, che soffre. Io se estendo lo sguardo all’orizzonte, mi si prende tutta una cosa dentro la pancia e mi chiedo, ma che dovemo sta male pe’ forza?  La felicità è una passione a volte quasi noiosa, lo so, ma se solo potesse andare di moda ci sembrerebbe diversa e più fica.

Se c’è tra di voi qualcuno che non dice ansia almeno una volta al giorno, ti giuro che ti voglio conoscere il più presto possibile. Io ci provo e ci provo a non farlo, ma non ci riesco. Il fatto è che non riesco a trovare un sinonimo adatto a buona parte dei miei stati d’animo. Praticamente tutto ciò che devo fare e che in qualche modo non mi va per niente di fare mi sembra che mi faccia venire l’ansia. E tutto il mondo che sta intorno a me mi parla di ansia. Se ne parla così tanto che alla fine ci spaliamo badilate di sarcasmo addosso, sulle nostre ansie che hanno l’ansia pure loro. Ci fanno le magliette stampate, ci sia accusa di provocarci ansia l’un l’altro praticamente ogni volta che  c’è un punto interrogativo alla fine.

Ed è solo una parola, una sola parola che prende il posto a mille parole. Se l’ansia fosse veramente un tiranno, uno di quelli in carne e ossa, ma che non vi ribellereste in qualche modo? Non vi verrebbe la voglia di dire basta e rovesciare questa prepotenza che vi consuma? 

Siccome il confine tra quello che è normale e quello che invece è pazzo, fuori dal solito, fuori come un balcone, è quasi sempre una questione di quantità invece che di qualità, anche per la grande regina ape ansia vale lo stesso. Se io ogni tanto sono così triste che chiedo a me stessa se poi questa vita avrà mai tanto senso, non solo va bene, va benissimo. Tutto quello che sta nei manuali di psi, è un nostro diritto averlo ogni tanto. Così come è un diritto magnasse na fritturina de calamari ogni tanto, bere troppo ogni tanto, sbagliare alla grande ogni tanto, piangere etcetcetc, ma ogni tanto. Ma se c’è qualcosa che invece dovremmo e forse dobbiamo fare, è quello che mi ha detto una volta uno che scrive bene, non ti innamorare delle parole, se vuoi farlo bene l’importante è che togli, invece di mettere e mettere e basta. Allora non ne abusiamo, che poi prende ma perde di significato e la realtà diventa tutta solo un enorme casino.

Signora ansia amica fedele di mille momenti, io ti volevo chiedere scusa a nome di tutti quanti per essercene approfittati. Ci siamo dimenticati che tu sei una delle energie più importanti che ci permette di fare le cose. Sei quella che quando eravamo tutti scimmioni ci hai salvato dai pericoli dei fulmini e da… boh vabbè un sacco di cose feroci. Sei quella sensazione di caldo nello stomaco che ci viene quando qualcuno ci piace, sei l’attesa della mattina del natale di un bambino, sei  la torta in forno che ancora non è pronta. Sei il mio specchio quando penso di non essere all’altezza e il tuo ricordo rende più grande la soddisfazione quando ce la faccio. Ansia, io ti voglio bene perché tu sei la paura che mi aiuta a diventare chi non vorrei mai essere e sei quella che mi fa svegliare quando svengo sul divano senza mettere la sveglia. 

Ma vogliamo farti una promessa, una di quelle da esseri umani però, quindi oggi prometto, domani chissà ma lo spero.

Durante i prossimi 7 giorni ci divertiremo a trovare altri nomi per te. Ogni volta che ci sta per scappare ci fermeremo un attimo e giocheremo a trovare un’alternativa. Esempio, devo andare dal dentista e non mi va per niente, che paura che ho! Le vacanze sono finite e devo tornare a lavorare, che dispiacere che ho! Devo correre a prendere un treno e sono in ritardo, che agitazione che ho! Vale tutto tranne il tuo nome, quindi vanno bene anche: che palle, che coglioni (per i più vivaci), che noia, che noia incurabile (per gli esistenzialisti) e via sclerando.

Proveremo allora a fare questo esperimento con le parole per vedere se per caso non finissimo per sentirci meno preoccupati e più occupati di quello che facciamo di solito durante le nostre giornate. Tu però dicci, oh grandissima, che non te ne approfitterai se ti sentirai trascurata, facendoci scambiare tutto quello che ci muove qualcosa dentro che non è proprio bellissimo e facilissimo per sintomi di te. 

Tuoi per sempre,

ma in una relazione aperta.

Ogni tanto mi fermo davvero a guardare l’orizzonte e spesso trovo il muro di un palazzo. Non tutti i giorni mi va di superare quel muro e dirmi che tutto in fondo va bene e quel muro finisce per essere l’unica cosa che vedo. La verità è che per cambiare le cose ci tocca sempre fare le scale e che a volte ti rimandano pure indietro e poi ancora e ancora. D’accordo, che ansia. Un’ansia e un’angoscia pazzesca vedere quante cose per niente, quanto tutto per così poche cose.

La vita è davvero una cosa da pazzi, ma non provare a scendere prima di esserti regalato un orizzonte più grande e più bello, quello che trovi solo all’ultimo piano, anche solo per non rimanere con l’ansia di non sapere come sarebbe andata se davanti a quel muro non ti fossi arreso.

Olimpia Parboni Arquati