Attacchi di panico o vita di merda?
La sveglia suona e tu non sei manco sicuro di esserti addormentato sul serio. Ti alzi con la stessa grinta di un ciccione agli ultimi metri di una maratona.
La macchinetta del caffè è sepolta sotto sette strati di ruvidezza e piatti sporchi che non hai ancora lavato perché di lavori non ne fai uno, ma tre o, contando i fine settimana, pure quattro.
I soldi sono comunque pochi e quindi quella storia di mettere lo scaldabagno a gas è un capitolo di un futuro non scritto, allora a metà doccia l’acqua diventa tiepida e a fine balsamo la brutta copia della pubblcità brrr brancamenta. Esci di casa in ritardo perché l’unica verità è che non hai nessuna fretta di correre a sederti per fare il tuo lavoro numero 2, sottopagato e avvilente. Il traffico si mangia l’ultima fetta di buonumore residuale perché lì fuori è pieno di gente come te che corre verso una fetta di pane secco mentre sogna le aragoste.
Dopo due km di spossatezza e bestemmie lo senti che arriva, ti pompa dentro come una cassa a 4/4. Sudarella, cuore in gola, tremori q.b. e quella maledetta paura di impazzire morendo, di morire impazzendo, di svalvolare come un hooligan nudo in mezzo a uno stadio pieno senza poter scappare. Taaac, è fatta. Ti pietrifichi come se la medusa t’avesse appena guardato dritto nell’anima e rimani lì inchiodato al sedile, i clacson ti risuonano nel cervello tipo derby della capitale e tu decidi che tutto sommato se arrivasse ET e ti portasse via su una navicella forse forse riusciresti pure a ricominciare. Invece ti arrendi all’inarrestabile condanna, come se ti fossi beccato un’epatite, come se non potessi farci proprio niente se non soccombere inginocchiato e sempre fedele al dio PANICO.
Secondo le mirabolanti statistiche, quelle che io considero false verità, rassicuranti perché mascherate da linguaggio matematico, un essere umano occidentale su tre oggi soffre di so called attacchi di panico. Nemmeno la peste bubbonica, la SARS, l’AIDS e il colera tutti insieme hanno mai mietuto tante vittime. Ma può mai essere davvero così che stanno le cose?
Ogni volta che devo fare un esame all’università e non ho studiato, mi vengono gli attacchi di panico.
Ogni volta che devo vedere quello che mi piace ma che mi caga poco, mi vengono gli attacchi di panico.
Ogni volta che vado al supermercato e c’è una fila che pare il casello della A1 a ferragosto, mi vengono gli attacchi di panico.
Ogni volta che vado a ballare in mezzo a mille persone tutto fatto, in uno spazio chiuso e senza ossigeno, mi vengono gli attacchi di panico.
Ogni volta che, come un pecorone, decido di andare al centro commerciale la domenica pomeriggio, mi vengono gli attacchi di panico.
In generale, ogni volta che devo fare una cosa orribilmente pesante per la salute della mia testa e del mio fisico, mi vengono gli attacchi di panico.
Grazie al cazzo mon ami, come dicono a la Sorbonne, grazie al cazzo che ti senti così.
Ma tu lo sai che gli animali, quando si trovano davanti a un pericolo, possono fare solo due cose? Attaccare e sperare di sopravvivere, oppure paralizzarsi come fa il mio cane quando lo ciocco che vuole salire sul letto e pensa che se rimane immobile allora diventa anche invisibile. E noi, scimmioni nudi che non siamo altro, per quale motivo al mondo dovremmo avere una modalità più fine ed evoluta quando tutto ciò che abbiamo intorno delinea a chiari tratti l’autoritratto della perfetta vita di merda?
E però la verità è che quello scoppio di fronte alla tremendissima vida loca in qualche modo ti salva anche il culo. Ti protegge dall’ipertensione, dalla possibilità di un colpo al cuore, dal rischio di trombosi e in qualche misterioso modo magari pure dalla cellulite o dalla caduta dei capelli.
Quando una cosa funziona un pochino noi ci prendiamo tutto il braccio. E allora giù ad attacchi di panico per fuggire da tutto il peso della vita e dalle responsabilità. Perché errare è casuale, perseverare è umano.
Un attacco di panico può diventare la scusa perfetta per non fare proprio più un cazzo. Non vado a lavorare perché oh mio dio se poi succede? Non mi infilo in discussioni ad alta tensione emotiva o intellettuale perché oh mio dio se poi succede? Non esco più perché là fuori il mondo è roulette russa e da un momento all’altro mi toccherà avere a che fare con le ferite che necessariamente mi capiteranno. Perché sì, la vita è na battaglia, tanto vale perdere la guerra rinunciando a combattere o limitandomi a fare una passeggiatina giusto prima del coprifuoco, affrontando solo le situazioni in cui sono sicuro che non potrà capitarmi mai niente, con le spalle coperte e il culo parato.
E allora, mon ami che adesso mi odierai perché pensi che io ma che ne so, che nessuno lo può capire, ti chiedo scusa per essere stata così brutale ma qualcuno doveva pur dirtelo che la paura degli attacchi di panico è niente se la paragoni a quella di rimboccarsi le maniche fino alle orecchie e farsi un gran culo per costruire intorno a te un vago dipinto impressionista di qualcosa che somiglia alla felicità. E qualcuno doveva pur dirtelo che ogni volta che rinunci alla vita alimenti la paura di vivere, perché i mostri nel cassetto possono diventare enormi se non ti decidi mai ad aprirlo e sistemarli come si fa col cambio stagione.
Quindi, mon panic’s ami, domattina indossa il tuo vestito migliore e prometti a te stesso che non userai le tue paure come scudo per le responsabilità e comincerai a colorare la tua vita di merda con pennellate di coraggio, come arcobaleni timidi dopo anni di tempeste.
Olimpia Parboni Arquati