Lettera di incoraggiamento per giovani psicologi
Nei miei sogni di gloria più proibiti e profondi io sarei quella che tira fuori un foglietto spiegazzato dalla tasca e cerca di raccontare a qualcun altro come si costruisce il coraggio. Perché sono nata impavida e cuor di leone forse? No ragazzi, sono così paurosa che ogni tanto mi capita ancora di controllare che non ci siano mostri sotto al mio letto. Nei miei sogni profondi succede che io prendo in mano quel foglietto tutto rovinato e provo a convincervi che non è bello mollare la presa prima di aver provato a tirare fuori le unghie.
Quindi ditemi un attimo, avete sempre sognato di fare gli psicologi e adesso che siete a più di metà cammino vi viene in mente che avete sbagliato tutto. Che forse sarebbe stato meglio studiare medicina o biologia o matematica o qualunque altra cosa tranne questa. Vi cominciate giustamente a chiedere come sarà la strada una volta che le staffette obbligate saranno finite. Quando vi sarete smazzati le vostre ore di tirocinio in improbabili luoghi nei quali il più che imparerete sarà come fare la schiuma per il cappuccino del big boss e come fare le fotocopie fronte retro senza chiedere aiuto. Ve lo dico io come sarà, sarà terribilmente difficile come camminare dentro una foresta in una notte in cui hanno spento pure le stelle. Ecco come sarà.
Alla decisione ognuno ci arriva a modo suo, in un’età in cui legalmente si può votare ma biologicamente non ci si capisce ancora un cazzo. Ed ecco che a 18 o 19 anni ci siamo ritrovati a dire “mamma voglio fare la pissicologa così posso aiutare la ggente“, o posso aiutare me stesso, i miei genitori, il disboscamento dell’Amazzonia, la fame nel mondo, dipende. Quello che è certo è che avete sentito la chiamata da dentro e non siete riusciti a vedervi da nessun’altra parte.
Io me lo ricordo l’entusiasmo dei primi esami, quando mi pareva possibile capire lo scibile umano dai libri di testo. Mi ricordo lunghissime giornate di studio a sottolineare i nomi delle malattie pensando che mi sarei finalmente rilassata, perdendomi nelle nomenclature e nelle note a piè di pagina. Invece niente, non è stato così. Più ho imparato dai libri meno sapevo del mondo, più 30 prendevo, più mi sentivo stupida e piena di buchi pieni di ignoranza.
Siccome ormai l’avrete capito anche voi che sono un animo abbastanza romantico, ve la dico così, decidere di fare lo psicologo e come decidere che devi capire qualche cosa che riguarda l’amore. Per cui ogni volta che pensiamo di aver capito ci rimandano al punto di partenza e ci ritroviamo più nudi di prima. Scoperti davanti alla varietà delle cose che non può mai finire né essere incasellata in manuali da migliaia e migliaia di pagine.
Piccoli bruchi che diventeranno farfalle, ve lo devo dire, se volete una vita tranquilla e prevedibile, allora lasciate stare, non è questo il cammino. La strada dello psicologo timorato è tempestata da momenti di merda in cui sarete più soli di “Robinson Crusoe” che si abbraccia Wilson. Se volete fare veramente questo dovete prepararvi ad avere la testa piena dei pensieri degli altri, non avrete orari, non avrete divise né cartellini da timbrare. Probabilmente non avrete nessuno che vi dica che cazzo dovete fare e no ragazzi, non è come sui social dove fa molto figo dire che si è capi si se stessi e studenti presso l’università della strada. Vi succederà di sentire il cuore che ogni tanto vi scoppia, la testa non ne parliamo. Sognerete tantissimo, dormirete molto poco, non avrete così tanta terra sotto i vostri piedi.
Io me lo ricordo come mi sentivo quando ho finito tutto quello che dovevo finire. Mi ricordo la prima prova dell’esame di stato, un’aula magna gigante e centinaia di persone mai viste. Mi ricordo la mia amica raffreddata che nello zaino aveva la carta igienica invece dei foglietti per scopiazzare, mi ricordo di aver abbracciato decine di persone mai viste quando sono uscita da lì. Mi ricordo il sapore degli ottocento spritz che mi sono bevuta perché mi sentivo grande e mi sentivo felice. Mi ricordo quanto ho dormito bene quando mi sono iscritta all’albo e mi hanno dato l’adesivo da mettere in macchina, mi ricordo di aver discusso con la tipa all’anagrafe che non mi voleva scrivere la professione sul documento, “Eddaje signò, cominci a scriverlo lei su quel pezzo di carta che dopo diventa più vero.” E poi i quattro anni della specializzazione, gli infiniti soldi spesi, la voglia di avere strumenti, un radar, una bussola, una cartello, qualcosa o qualcuno che mi dicesse Ao, Olimpia, da questa parte, mi raccomando. Invece non c’è stato niente di niente.
A 30 anni, nel momento in cui il mondo si aspettava che io fossi pronta prontissima, alzo il telefono e chiamo mi padre per dirgli che volevo iscrivermi a Economia, rifare tutto daccapo e lavorare in un’azienda qualsiasi in cui mi sarei potuta mettere i tacchi e andare a mangiare alla mensa aziendale. Poi volevo partire per Brooklyn a fare la cuoca di qualche ristorante olioso e nascosto, servire piatti di carbonara con in testa la fascia di karate kid e diventare amica dei messicani immigrati con cui fare feste sui tetti della città. Volevo ricominciare sparendo, cambiare nome, città e pure colore degli occhi. Volevo andare via perché non sapevo come cazzo si faceva a rimanere fedele a un sogno.
Solo dopo aver messo in discussione per filo e per segno ogni piccolo aspetto della difficoltà, dopo aver perso ogni tipo di speranza, dopo aver perso chilometri di ore di sonno, ho pensato che in realtà l’unica cosa che non andava era la mia paura di non farcela. E solo allora, umile, persa e scoperta, ho deciso che non sarei scappata. Perché la benzina che ci avevo messo per tutti quegli anni magari non era abbastanza per arrivare, ma di sicuro era troppo poca per tornare indietro.
Insomma ragazzi, non basta volere le cose per avercele in mano, ma siete proprio sicuri che volete mollare? Ve lo ricordate quando volevate essere liberi, eh? Ecco bene, sta succedendo. Siete l’unica pedina a disposizione in un gioco di scacchi senza scacchiera. Per cui, le tiriamo fuori le palle della disperazione oppure no? Perché nel secondo caso non succede niente, fate fagotto dei vostri sogni, iscrivetevi a qualche bel corso pratico e imparate a fare la pizza.
Questo mondo è come uno strano ed enorme marchingegno molto complesso. Voi potete essere bulloni oppure potete essere quelli che si interrogano sul senso del marchingegno, la scelta sta a voi. Ma non date la colpa al sistema che non vi aiuta, non ai vostri genitori che non vi supportano, non al cielo che vi fa piovere dentro.
Questo lavoro non è il più bello di tutti, vedrete un sacco di lacrime, un sacco di lacrime dovrete fare modo di ingoiarvele. Però una cosa ve la posso dire, se non il più bello, dio mio è il lavoro più libero fra tutti quelli che conosco. Il vostro ufficio sarà il vostro cuore, la vostra testa il miglior manuale che esista.
Leggete, leggete, leggete. E non soltanto i libri della materia, per carità sai che palle. Leggete i racconti e le poesie, il giornale, le etichette dello shampoo. Amate le parole come vorreste che il mondo ami voi e vi assicuro che qualcosa di bello succederà. Perché è vero che non basta volere le cose per farle succedere, ma per farle iniziare a succedere l’unica cosa che serve è pensare che possano davvero succedere.
Piccole farfalle in fieri, se volete fare gli psicologi non vi serve altro che lo stesso coraggio che ci vuole per affrontare la vita, per cui chiedetevi una cosa soltanto: Siete sicuri che la libertà non vi spaventi troppo?
Non ho finito né con voi né con me, ho solamente iniziato. Vi abbraccio e ci sentiamo presto per continuare a parlare di come fare ad avere coraggio quando dentro sentiamo solo paura.