Confessioni di una psicologa senza filtro

di Olimpia Parboni Arquati

L’insostenibile pesantezza dei vostri selfie

Primi piani di pizze mezze mangiate, primi piani di tette completamente strizzate, panoramiche mal tagliate comprensive di alone di dito fronte obiettivo, carrellate del vostro animale domestico stile shooting di Kate Moss, cataloghi da arredamento d’interni su come procede l’agghindamento della vostra nuova cucina a gas e ognuno di voi aggiunga mentalmente a questa lista ciò che di più inutile e invadente vi capiti davanti durante i vostri virtual tour nei social network, tanto la mia domanda sarà sempre la stessa: ma che cazzo state a fa?

Dico sul serio, ma non sentite quel sottile sapore della vergogna ogni volta che esagerate con l’esposizione world wide dei cazzi vostri? O almeno, avete presente quei momenti in cui vi capita di sentirvi in imbarazzo per qualcosa che qualcun altro sta facendo? Io dico che ce l’avete presente tutti ma che quando ognuno pensa a se stesso trova scuse incontrovertibili sul perché abbia dovuto condividere una fetta di banale intimità sulla pubblica piazza. Ma le scuse non bastano, qui c’è bisogno di un richiamo all’eleganza. C’è chi esagera per quantità e chi esagera per vanità, comunque sia state esagerando.

Avete presente quella tizia che ha fatto i soldoni facendosi fotografare dal proprio fidanzato boccalone mentre gira il mondo? Dai quella inquadrata da dietro che lui gli tiene la manina. Ok, un’amica tempo fa mi espresse la profonda invidia che provava verso costei, sta fica, sta stronza, roba così. Allora io andai a cercare che facce avevano mai questi due che di lei si vedeva solo il capello lungo e biondo, di lui il braccetto peloso ma saldo. E insomma i due sono tipi normalissimi o addirittura bruttini. La mia sensazione fu simile a quando scoprii le facce di quelli di Mai Dire Gol, il signor Carlo pare mi zio e io mi aspettavo Superman, la verità toglie sempre qualche grammo alla magia. E sì, girano il mondo insieme e pare che facciano solo quello. Alzarsi, andare in Thailandia e scattare foto invidiabili della schiena di lei. Ma nessuno ci pensa che quella roba che vediamo è soltanto un quadratino di verità, non è il puzzle intero.

Ok, lo ammetto, una quantità X di selfie me li so sparati pure io. In effetti lo facevo già quando c’erano ancora i rullini e allungavi il braccio sperando di riuscire a beccare sul serio la tua faccia. Però una cosa era profondamente diversa e non parlo dello sviluppo dal fotografo straight from the 90’s, ma del fatto che prima nelle foto che ti scattavi da solo ridevi sempre, perché era una cosa da imbecilli e quindi il sorriso da imbecille era né più né meno di quello che dovevi fare. Adesso invece no.

Adesso c’è una serietà imbarazzante in queste facce da papera che non riescono a fare a meno di inquadrare anche il cesso sullo sfondo e nei tizi che se ne sparano duecento tutte le volte che vanno in palestra. A proposito di quest’ultimo gruppo, io una volta ci sono uscita con un selfiepalestrato e, regà, ve giuro, almeno una volta al giorno ricevevo una foto in canotta. Senza didascalia, senza un accompagnamento musicale che so, un commento qualunque sul meteo, niente. Solo un book di fotografie in canotta ed espressioni zoolanderesche. E io, che in fondo sono una frescona, provavo a rispondere con cose ironiche tipo il selfie davanti alle gocciole in offerta, ma va da sé che nei meandri del circolo canottiere, l’ironia non è un membro ben accetto. E però fatevela una cazzo di risata, ma mamma non ve l’ha mai detto quanto siete belli quando sorridete?

Nella mia fresconità ogni tanto penso di voler fare un profilo instagram con i selfie tagliati invece che con quello che casualmente si ottiene al duecentesimo scatto. Senza ritocchi, senza filtri ma anche senza scrivere #nofilter eh, solo le scene tagliate. Quelle che avete pure voi sui vostri telefonini. Sì, anche tu, non sgranare gli occhi di scettica sorpresa. Anche tu hai una sfilza di quadratini in cui somigli a Slimer dei Ghostbuster, col doppiomento da cattiva inquadratura e il colorito verdognolo. Poi ci rifletto e penso che la concorrenza di donne papera mi straccerebbe in pochi istanti. Va bene signore, per adesso avete vinto voi, non parteciperò alla pubblica piazza con la mia faccia da buffona. Vi lascio tutto lo spazio per le vostre serissime pose, non vi dico che a volte sembra più l’espressione di una persona che soffre di stitichezza, non vi chiederò dove diavolo ci andate truccate così tanto alle 9 di mattina, non vi chiederò dove nascondete il tutone grigio che ha fatto i pallini di cotone e che tutte le persone che conosco possiedono in qualche angolo dell’armadio, ma sopratutto, non vi chiederò di smettere.

Però vi vorrei chiedere di riflettere e pensare si sia necessaria quest’abbondanza. Voi non ci pensate ma facendo così diventate mainstream e il mainstream non è la moda, è solo la media della normalità. E voi, volete essere normali oppure volete essere eccezionali? Non vi andrebbe per caso di farvi desiderare dal pubblico e che tutti si chiedano Oh ma chissà che avventure sta vivendo mai in questo momento? Guardate che è molto fico non abusare di se stessi, lasciare un alone di mistero e far pensare che magari anche voi siate partiti per chissà dove a fare chissà che cosa, invece di regalarci quotidiani quadratini di foto scattate male in cui forse siete pure venuti bene, ma il rotolo di carta igienica, i peluches sullo sfondo e l’eterno ritorno dell’uguale tolgono un sacco di poesia alla vostra bellezza. 

A quanta gente dovete piacere prima di piacere a voi stessi? Quanti pollici, quanti ve ne servono per ricordarci che non è bello ciò che piace ma è bello ciò che stupisce, come le onde quando stai sul bagnasciuga, che sembrano tutte uguali e invece non lo sono perché ti fanno sorridere il cuore senza fare nessuno sforzo, ed è per questo che le guarderesti per ore ed ore.

Olimpia Parboni Arquati