Confessioni di una psicologa senza filtro

di Olimpia Parboni Arquati

Ex-files

Ieri sera mi è successa una cosa che non mi era mai successa. Ero seduta al caro vecchio bar, con la cara vecchia amica e il vecchio carissimo camparino&soda, a due tavoli di distanza un duo tutto preso da abbracciamenti vari.
Ad un certo punto la piccioncina si snoda un attimo, guarda me e la mia cara vecchia amica e ci fa -con quel tot di dialetto che lascia un gusto agrodolce- “Ao, ma secondo voi io e questo possiamo sta insieme oppure no?”

Al che ne viene fuori un’incantevole chiacchierata a quattro, in bilico tra momenti di femminismo applicato e toni solenni ma assurdi da biscotto della fortuna. In pratica si erano mollati, odiati, inviati reciprocamente le peggiori maledizioni per il futuro e tutta quanta la prassi, eppure eccoveli là. Lei era appena stata mollata e subito aveva fatto quella che molti di noi conoscono e che mi piace chiamare la rubricata, ossia che ti lasci e passi al vaglio tutti i contatti dalla A alle email. Tattica leggermente grezzettina ma a suo modo produttiva. Però in fondo che male c’è? Magari si sono davvero mancati e magari vissero felici e con un Long Island in mano, io che ne so. Poi in chiusura brindiamo al grande sentimento, faccio ciao e mentre mi giro lei mi guarda e mi fa: “Teso’, comunque gli ex so li mejo, a me è la quarta vorta che me sarva quanno me lascio”

E così, con un altro boccone agrodolce,  se ne è andata in frantumi quella casetta di zucchero che mi ero costruita sul momento. Quella delle canzoni di Mina che urla e di A mano a mano e Rino Gaetano, ma sopratutto, ah sopratutto, i Dire Straits e Romeo and Juliet in cui loro erano giusti e solo il momento era stato sbagliato. Entro in macchina, comincia a piovere, mi viene una voglia pazzesca di sentire i Ramnstein a tutto volume.

Perché ok, se non era buona la prima vabbè, succede, ripetiamo la scena. Però alla quarta uno potrebbe pure prendere in considerazione l’ipotesi che  se quella pianta che hai in giardino non vuole spuntare, magari i semi non andavano bene e avoglia te ad aspettare il miracolo. Eppure ho sentito storie di chi con l’ex ci va a fare shopping e a cena o i celeberrimi caffè che finiscono sempre con l’invito a vedere la collezione di farfalle. Qualche impavido si gioca addirittura la carta vacanze e non mancano le telefonate di richiesta di aiuto, dal trasloco a dammi il numero di tuo cugino che fa il meccanico, auguri di natale, supereroi che non perdono manco l’onomastico. Una ragazza che conosco ha da poco riaperto il file ex ragazzo delle medie perché nella rubricata le sembrava l’unico veramente degno di nota.  Insomma siamo capaci di tutto pur di buttarci in mezzo quel Come stai che sottinende il malcelato obbiettivo di riaprire il cold case che giaceva tranquillo in archivio. 

Se la pianta ci fosse stata, ti assicuro che l’avresti vista. È che ci vuole più fatica a scavare e scoprire, lasciare la terra a riposo, starsene buoni a ricoltivare il giardino. Quando ti accorgi che basta un drin e la serata si risolve, ma chi te lo fa fare di prendere in mano la zappa? Personalmente direi che la curiosità te lo dovrebbe far fare, basterebbe anche solo quella di un primo bacio. Quella cosa megagalattica che ti svecchia di 20 anni e ti fa venire voglia di rotolare in un campo di margherite. E non basta, lo so. Però forse quel punto per cui non ci ridanno indietro nemmeno un giorno andrebbe ripassato. In fondo è delle nostre ore spese che parliamo,  e perché tornare a mangiare in quel ristorante che non ci era piaciuto poi così tanto solo perché abbiamo fame? Una volta che abbiamo assaggiato tutto il menù ma che sorprese ci aspettiamo? Un piatto del giorno buonissimo quando il cuoco è rimasto lo stesso? Eh, ho capito ma poi finisce che viviamo sperando, peggio di quelli che a Roma aspettano l’autobus a ferragosto.

Oggi mi sento più onesta e confesso che il bis mi è capitato, la terza replica no, è chiaro che ciò non mi rende esente dal commettere atti totalmente privi di senso e di sicuro insuccesso. Però, proprio questo in particolare, mai fatto. Quando qualche fantasma è tornato dal fondo dell’armadio ho sempre avvertito un vago senso di noia, come quando la mia vicina di casa mi ferma sulla porta e parte con l’interrogatorio, in ordine diverso ma sempre le stesse domande. Mesi fa, per esempio, vagando per casa con quel tipico outfit multi strato donna inverno rigido, che ti gonfia e ti ingoffa che pari Neil Armstong mentre fa l’allunaggio, mi ritrovo un messaggio: “Ciao, ero qui per caso, ti ho appena vista passare alla finestra e ti volevo fare un saluto al volo”, io ho reagito con un’espressione alla bionda di Scream e, correndo quanto più velocemente le pantofole felpate mi permettessero, ho chiuso tutte le finestre. Perché l’ho fatto? Perché ho sentito che quel saluto al volo sarebbe diventato, al ventesimo minuto massimo, una lista infinita di vecchi rancori. E forse sì, quell’impeto passionale e aggressivo mi avrebbe pure riscaldato un paio d’ore d’inverno ma mi avrebbe anche congelato il futuro in un passato già visto. E poi comunque il mio tutone da freddo faceva già un lavoro discreto.

Non mi ricordo chi cavolo è stato a dirmelo tanti anni fa, credo la signora dell’edicola o qualche altro saggio lì per caso, e però io non l’ho scordato e suonava più meno così:

-Che è sta faccia, che te sei lasciata?

-Ehssì

-Ehhh vabbè, avanti er prossimo!

-No, è che ci siamo lasciati male…

-Embè, e come se lascia la gente, bene co’ n’abbraccio e un bacetto in fronte?

Ma infatti. Quando vuoi bene a qualcuno lascialo libero, dicono, no? Allora pensa a quanto poco bene ti vuoi quando da solo, libero, non ti ci lasci mai. E pensa anche che sti cavolo de Romeo e Giulietta avevano 13 o 14 anni, non di più. Se l’amore fosse andato liscio, alle superiori si sarebbero lasciati sicuro. Anche se poi magari  un disperato Romeo, in un freddo giorno di Novembre di alcuni anni dopo, un sassolino alla finestra dell’amore delle medie glielo avrebbe pure tirato, per poi scoprire che Giulietta era ancora la solita rincoglionita melodrammatica di prima.

E allora quando la tragedia è finita, abbassiamolo questo sipario. O come dicono i ballerini di tango quando vogliono rifiutare un compagno che va fuori tempo: “Io e te abbiamo già ballato abbastanza”. Teniamo i ricordi e teniamoci pronti a tutto il resto che potrebbe succedere, a patto di non rimanere incastrati a ripetere scene già viste. Alla fine se Shakespeare ha scritto di meglio, non è detto che anche la vita non ci possa riuscire.

Olimpia Parboni Arquati