Confessioni di una psicologa senza filtro

di Olimpia Parboni Arquati

Combattere il male di vivere in poche mosse e senza uscire di casa.

Spesso il male di vivere ho incontrateccetera eccetera eccetera. Lo so, io lo so che anche tu sei un po’ come me e anche tu tendi a svegliarti con quella sensazione di amaro nel cuore almeno una volta ogni settimana. Non sai come si chiama, non c’è sempre un motivo ma che ti capiti di aprire gli occhi con quella morsetta tutta stretta intorno al petto, rimane una verità incontrovertibile. Ora qui potremmo pure chiamare in causa l’universo intero cercando di motivare l’origine di tale malessere, ma finiremmo per perderci in una galassia di significati che ci allontanerebbero da quello che voglio dirti.  L’esistenzialismo, il capitalismo, il buddismo, il menefreghismo, il qualunquismo, il femminismo, il veganismo, tutti. Sono tutti colpevoli del fatto che qualunque cosa succeda, qualunque cosa ci passi tra le mani, non troviamo comunque il modo di starcene zitti e contenti a godercela, senza doverci dare ogni tanto una bella ripassata nel male di vivere come le cotolette nel pangrattato.

Quindi se te sei un po’ come me le cose sono due: o decidi che una spiegazione la devi trovare e allora ti imbarchi in questa crociata tempestosa e non ti arrendi fino a che non hai trovato un nome abbastanza adatto. Scorri le possibilità e vedi cosa ti convince meglio, se fermarti nel girone dei depressi, dei bipolari, degli ignavi, degli incompresi, degli eremiti, del dopolavoro ferroviario o del circolo bocce, le possibilità sono infinite, l’importante e che ti ci senta a casa. Oppure fai come me e questa crociata non la combatti, ma la accogli con un abbraccio come si fa con un vecchio amico.

Non lo so se questa è una cosa giusta oppure sbagliata, però ti giuro che a lungo andare, risparmi un sacco di tempo utile. Quel tempo che prima investivi a cercare il bandolo della saudade, lo puoi passare a fare altre cose, perché tanto lo sai che poi domani passa, giusto? Quindi, come dice il mio astrologo di fiducia, se l’apocalisse è adesso, tanto vale ballare o come ha detto qualcuno ma non so chi, visto che stai nel tunnel, a questo punto arredalo.

Negli anni mi sono affinata parecchio, giorno di saudade dopo saudade, a trovare dei modi semplici che mi fanno arrivare alla fine della mia giornata di merda, un po’ meno avvilita, un po’ meno malinconica e con un po’ meno voglia di rispondere che va di merda se qualcuno dovesse chiedermi come sto. Adesso ti faccio una breve lista che tante volte hai visto mai ti possa aiutare pure a te. Insomma, la verità è che ci raccontano che per stare bene dobbiamo sempre fare chissà che, scalare montagne, perdonare torti, abbandonare rancori, invece secondo me ogni tanto dobbiamo solo rimboccarci le maniche e cercare di prendere il mal de vivre come un momento in cui la vita ti ricorda che per poterla vivere, la cosa che ti devi allenare a fare, è a diventare molto creativo. 

Le giornate di merda sono come un frigorifero quasi vuoto, ti costringono a dare qualcosa anche quando da dare ti è rimasto soltanto il peggio e una coccia di parmigiano.

E quando mi tocca quella minestra, io di solito me la cucino sempre così:

  • Risveglio muscolare con i Wu Tang Clan. Ebbene sì, niente grandi classici della canzone italiana, niente romanticherie smielate ma soltanto loro a tutto volume. Tu mi chiederai perché ma la verità è che non lo so perché ma con questa colonna sonora non puoi mai essere veramente triste. Fanno troppo casino, fanno troppo ritmo e ti fanno sentire lontano da tutto il resto e vicino a un realtà che sta soltanto nei telefilm. Quindi se ti svegli male prova a farlo anche tu, prima del caffè, prima di tutto. Scommetto una stecca di sigarette che dopo cinque minuti corri a prendere gli occhiali da sole e te ne vai in bagno alzando le mani in aria.
  • 3 caffè e 7 sigarette dopo sono pronta per affrontare il resto del mio disagio e quindi decido che, per darmi un bello spintone che mi fa reggere fino al pomeriggio, anche solo contemplando le foglie muoversi fuori dalla finestra, il meglio che posso fare è mettere le mani in quello che più odio tra tutte le cose di questo mondo: la burocrazia. Ed ecco che, soffrendo come se stessi facendo 100 flessioni, comincio ad aprire cassetti, sistemare due o tre bollette, aprire la posta e scrivere una di quelle risposte che rimandi da mesi e mesi. Se riesci a fare soltanto una di queste cose, ti prometto che anche solo per un momento, proverai un sollievo così tanto grande che ti verrà quasi voglia di comprare un raccoglitore colorato pieno di cartelline e farlo diventare un esercizio zen.
  • Superato il pranzo comincio l’ispezione delle geometrie di casa, ripasso gli angoli e individuo punti che non mi piacciono. Prendo il metro in mano e misuro i mobili, fino a che nella testa non sento un click e allora parto con il tetris. Ti giuro che non so da dove tiro fuori così tanta forza da riuscire a spostare gli armadi a muro, ma devo dire che ci riesco. Ho l’abbonamento dall’osteopata ma ci riesco. Questo qui posso dirti che si tratta di un vecchio vizio, anche a 6 anni, quando non dormivo, mi alzavo di notte e spostavo il letto. Per molti anni ho pensato di avere qualche problema (grazie al cielo ne ho ancora e me li tengo stretti) ma poi ho scoperto che questa cosa si chiama Feng Shui, chiedi a Google se non mi credi. L’idea è che in qualche modo muovi le energie, non so quali e non so perché, ma siccome la casa è una cosa così importante che metà dei nostri sogni ce l’hanno sempre come protagonista, evidentemente se sposti il comodino a destra invece che a sinistra, è un po’ come prendere a gomitate la tua saudade e farle capire meglio chi comanda.
  • A questo punto della giornata, senza avere mai spento la musica, mi ritrovo davanti un paesaggio un po’ cambiato, anche solo un angolino piccolo piccolo che però adesso è diverso. La musica continua a suonare alta e ormai ho messo al collo tutto l’oro che ho trovato in casa. Il tramonto è vicino e allora, siccome non ho niente per cui brindare, brindo al niente come se niente fosse. Ma lo faccio al tramonto, come un rituale. Mi siedo sul primo gradino del mio giardino e aspetto che il sole cambi colore, per ricordarmi che, se anche domani non è un altro giorno ma soltanto un altro uguale uguale a questo, io comunque non sarò mai senza risorse. Avrò sempre con me le mie orecchie, la mie braccia e i miei occhi, occhiali da sole compresi, per vedere meglio come anche il giorno peggiore non è mai il peggiore se solo provi a volergli bene invece che a litigarci.

Ah sì, poi c’è un’altra cosa che faccio quando la vita mi fa un po’ maluccio, mi siedo qua davanti e scrivo. E provo a trasformare un niente in qualcosa che abbia un po’ di senso, il grande caos in un piccolo logos, il male di vivere in una lotta attiva contro le tenebre, a colpi di basso e a colpi di martello.

Allora facciamo così, mio caro e malinconico amico, tu accendi le casse e io vado a prendere le birre e le metto in fresco. Oggi basta combattere, oggi siamo stati bravissimi e ci siamo arresi ma col sorriso.