Cosa vuol dire essere un po’ psicologo?
Da ragazzina ero una capra a scuola. Pensate che il primo giorno di liceo sono stata cacciata via dalla palestra perché durante l’ora di educazione fisica me ne fregavo di quello che mi chiedevano di fare e giochicchiavo con la gomma americana che avevo in bocca, strattonandola con due dita e un’enorme faccia da schiaffi. Poi successero varie cose e scalai velocemente la classifica delle pippe, diventando, sempre tra le pippe, la reginetta del 7 e mezzo. La più significativa tra queste cose fu l’incontro con un indimenticabile professore di filosofia. Era severissimo e tutti ne avevano un sacro timore. L’anno prima di ritrovarmelo in classe aveva avuto un ictus e si era preso un congedo, quando ritornò tremavamo tutti e ci aspettavamo il peggio. Invece a qualcuno di noi ha cambiato, se non la vita, almeno il modo di osservare le cose. Era un uomo piccoletto e con la fronte pienissima di rughe. Veniva a scuola in bicicletta, con l’orlo dei pantaloni infilato nei calzini e prima di parlare faceva sempre delle lunghe pause. A ripensarci credo fossero quelle pause di pensiero l’origine di tutte le rughe. Di tale poeta mi rimasero impressi tre avvenimenti: pianse leggendoci la morte di Socrate, l’ultimo giorno di scuola, mentre gli altri si lanciavano i gavettoni in faccia fuori dal portone, lui ci volle spiegare la metafisica di Aristotele, invitando chi voleva andarsene ad andarsene: si alzarono solamente in due. E mi fece un’interrogazione sui sofisti in cui vinsi un 7 e mezzo che però valeva molto di più del mio solito premio da reginetta delle pippe. Finita l’interrogazione mi disse: “Parboni tu sei troppo onesta e questo sarà sempre il tuo più grande pregio e il tuo più grande difetto insieme. Adesso però vai a sciacquarti il viso che lo so che ti viene da piangere.” Rimasi in bagno un buon quarto d’ora a riflettere su quanto avesse ragione, piangendo come un vitello.
Ma prima di questi episodi ce ne fu uno ancora più importante, il primo primissimo giorno entrò in classe senza dire niente e scrisse sulla lavagna “DE-FINIZIONE”. Su quella parola ci passammo due ore perché “ragazzi, se non state attenti alla radice, il vento vi si porterà sempre via”. La radice della parola, sempre. Se non partiamo dall’etimologia non è possibile costruire un significato e io avevo deciso in quel momento che no che non volevo volare nel vento come una foglia secca.
Voi direte, ok reginetta delle pippe, dove vuoi arrivare con questa storia? Beh io non lo so dove voglio arrivare, ma sono sicura del punto da cui voglio partire. Da qualche giorno impazza lo slogan “Non siamo tutti un po’ psicologi” e insomma, non è che non sia d’accordo, eh, ma mi rendo conto che qui nessuno sta definendo niente. Stiamo tutti volando nel vento come la busta di plastica di American Beauty, ma un messaggio sociale non può limitarsi ad intervento estetico di abbellimento foto profilo e basta. Se facciamo così allora stiamo facendo soltanto i ribelli e una rivoluzione è una cosa molto diversa, una rivoluzione va spiegata, dalla radice, cazzo.
E allora ditemi, che cosa vuol dire essere un po’ psicologi? Adesso, non sono nel giro da quattro giorni, ma nemmeno da mille anni, quindi perdonatemi se vi sembrerò una pallida macchietta di Savonarola, in quel caso preparatemi pure il rogo che l’inverno si avvicina e il freddo lo sopporto male.
Per essere psicologi non basta la laurea, non basta la specializzazione, non basta l’adesivo dell’ordine che ti attacchi sulla macchina vicino al bollo. Non bastano i 30 e lode, non basta saper ascoltare, non basta che tu te lo scriva sul bigliettino da visita, non basta. Questa è soltanto la definizione formale, decisa da quello stesso sistema che poi ci incatena e ci lascia senza lavoro. Non sono le tue mille ore di tirocinio in strutture convenzionate né tanto meno che tua nonna a Natale ti chiami dottore oppure dottoressa.
Prof, dovunque tu sia, per favore dammi un mano. Dammi l’onestà per ritornare alla radice della questione e l’umiltà per riconoscere che questa definizione non può essere definita. Il logos dell’anima, questa sarebbe la psicologia. Soltanto che ognuna delle due parole che la compongono occupa tipo 10 pagine di dizionario. Che cos’è l’anima? Dove sta? Quanto pesa? Di che colore è? E come facciamo a metterla in ordine? Come facciamo a sostituire tutto quanto il caos con un po’ di logos? Come facciamo per la miseria? Con un pezzo di carta appeso al muro? Imparando a memoria la lista di tutti i disturbi? Attaccandoci l’adesivo dell’ordine direttamente in fronte tipo bollino delle banane?
La verità è che nessuno lo sa che cosa vuole dire essere un po’ psicologi ma dovremmo chiedercelo tutti. Senza aver paura di non poter rispondere e senza ripararci dietro definizioni tautologiche che non aggiungono un cazzo di niente alla spiegazione. Senza il terrore che qualcuno possa portarci via il lavoro solo perché sostiene di essere un po’ psicologo. Le persone staranno pure male, qualcuna sarà pure matta, ma nessuna di loro è scema e se capita che qualcuno ci rubi la definizione, chi se ne importa. Fate come si fa in amore quando si è gelosi, concentratevi sulla vostra bellezza, fatevi desiderare senza attaccare il nemico immaginario in modo da non sembrare tutti rosiconi senza passione.
Tutto ciò che cura è un po’ psicologo ed è normale che anche il vostro parrucchiere se ne esca con una frase del genere perché dai, non si parla di chimica organica o di logaritmi, la psicologia parla di cose di cui parlano tutti. Di dolore e di felicità, di ansie e di paure, di intrecci, di madri e padri. E Il migliore linguaggio della psicologia non è quello scientifico ma quello che cura e basta, e quello è un linguaggio semplice e democratico e sì, anche il fornaio potrebbe dirlo o il tabaccaio o il vostro insegnante di zumba. Allora perdoniamoli perché non sanno quello che fanno ma siamo più severi con noi stessi se ci mettiamo in cattedra a dire che tutto questo non va bene, mentre ci dimentichiamo di definire la parola per cui tanto lottiamo.
Forse per essere un po’ psicologi è necessario essere buoni ma non buonisti, essere molto più pazienti di qualunque paziente, essere imparziali ma sapersi schierare quando è necessario, azzardare come nel poker e sperare che vada tutto bene. Forse essere un po’ psicologi vuol dire non smettere mai di chiederselo il significato ma ricordarsi che ad un certo punto devi partecipare con tutte le tue armi alla definizione di una nuova felicità. Perché essere un po’ psicologi vuol dire che qualcuno prima di parlare con te stava peggio di come sta dopo che ha finito. E mille altre cose ancora. Essere un po’ psicologi vuol dire sopratutto che nel dolore ci devi essere passato e aver voluto uscirne con tutto te stesso, per poi essere pronto a passarci ancora. E ancora. E ancora. Perché questo è l’unico modo per guardare negli occhi chi ti sta di fronte e poter dire che no, non va tutto bene, ma tutto potrebbe anche cambiare.
Il mio parrucchiere è bravissimo e l’ho capito quando per sbaglio mi ha fatto i capelli fucsia evidenziatore e poi ha cercato di rimediare dicendomi “tesoro perdonami, torna qui domani che trovo il modo di farti uscire un po’ più felice di come sei entrata e chiamami se guardandoti allo specchio ti sembra di impazzire.” Il mio parrucchiere che è bravissimo ed è un po’ psicologo io l’ho abbandonato, come si fa con gli psicologi veri, quando ho capito che dopo tante sfumature dovevo, come un camaleonte, posarmi sul vuoto per ritrovare il mio vero colore. Quindi ho smesso di farmi le tinte e sono tornata al colore che mi hanno dato per nascita mamma e papà. Se mi manca sedermi lì per un’ora ed uscire un po’ più felice? Diavolo se mi manca, ma aveva ragione il mio professore, alla fine sono troppo onesta per nascondermi dietro una tavolozza di arcobaleni. Se dentro sono un po’ scura, è giusto che lo sia anche fuori e che tutti lo possano vedere.
Scusate, scusate per questa che può sembrare solamente una provocazione, cercate di capirmi anche se forse non mi sono spiegata bene. Ma sopratutto cercate di DE-FINIRE la materia del nostro contendere e di chiedere alla vostra anima, dovunque si trovi e qualunque sia il suo peso, che cosa vuole dire essere un po’ psicologi. Chiedetevelo sempre e cercate di rispondervi senza fretta e senza arroganza perché questa dannata psicologia è fatta più da domande che da risposte, è fatta più dal cuore che dalla scienza, più dalla pratica che dal pezzo di carta. Non cercate solo di essere un po’ psicologi, mettetecela tutte per essere psicologi un po’ bravi e se vi chiedete come si fa a sapere se siete bravi, cercate il sorriso dall’altra parte della scrivania e quando lo trovate potete stare sicuri di esserlo e che nessuno vi porterà via quel dono, nessuno vi ruberà niente perché per essere un po’ psicologi serve dare un po’ tutto quello che siete e quello che siete lo sarete per sempre.
Prof, non lo so se sono stata brava, forse il mio solito 7 e mezzo, forse soltanto una pippa e basta, ma cavolo se ci ho provato. Infatti adesso vado un momento a sciacquarmi il viso perché ok che sono che un po’ psicologa, ma sono pur sempre un po’ anche Olimpia e quindi mi viene un po’ da piangere anche stavolta.