Confessioni di una psicologa senza filtro

di Olimpia Parboni Arquati

“Dedicato a tutti quelli che stanno scappando”

La frase che ho digitato su Google e che mi ha portato al tuo sito è stata: “se mi sono rotta le palle di tutto“.

Mi chiamo A., ho 49 anni e sono una Romana de Roma. Ma per raccontare un po’ di me inizio dalla fine, cioè da come mi sento negli ultimi anni.

Ogni giorno mi sveglio con una frase in testa “prima o poi finirà”. Mi riferisco a:

1) il mio lavoro, da impiegata statale presso un ufficio giudiziario… non di Roma, ma di Firenze. Il prossimo che mi dice: “bella Firenze, una città a misura d’uomo, i fiorentini sono simpatici!” gli sputo in un occhio. Odio la città e chi ci abita, non li sopporto più. Cambio anche canale se ne parlano in TV o alla radio. Però mi potrei dire: “va bene, dai, ma che ti frega“. Dopo aver passato la giornata davanti ad un PC, in un ambiente demotivato, dove non hai stimoli, dove dopo 26 anni dovessi scrivere un CV non saprei che razza di competenze indicare come acquisite, dopo aver fatto Fantozzi davanti al lettore badge, te ne torni a casa tranquilla! No. E passo al punto 2);

2) Non riesco nemmeno a dire: “vado a casa“. dico: “vado su“, perché non mi  sento a casa.

Divorziata per decisione mia (su questo ci vorrebbe una lettera a parte), convivo con un nuovo compagno che ha solo due difetti: due figli, di 12 e 15 anni che con me non hanno nessun problema. Sono io ad averne che, da convinta “childfree”, non sopporto la loro presenza che la vivo come un’invasione del mio spazio. Io non pretendo che non ci siano, per carità, ma non viene capito nemmeno il perché io me ne vada i weekend che toccano a lui: non mi sembra difficile da capire. Non ho voluto e non voglio la famigliola e tutte le rotture connesse e quindi mi levo dalle scatole. Mica ti dico di non starci! Stacci, ma non pretendere da me altrettanto! In poche parole io non mi sento a casa da NESSUNA parte, ho bisogno di trovare il mio posto. 

Ci sono tantissime altre sensazioni di merda che ho addosso provocate dal divorzio, dal mio gatto che non c’è più, dai sensi di colpa, dal sapere di aver deluso, dall’insoddisfazione, dal non vedere luce, dall’aver sopportato dei sacrifici enormi, dal non avere una vita mia. Mi sembra sempre di stare ad aspettare i cazzi degli altri e a vedere la mia vita scorrere. In attesa di che???? Il risultato è che sono ARRABBIATA fissa. Proprio perché non mi riconosco più in questo stato d’animo (ho fatto e faccio anche cose belle: ho viaggiato tantissimo, non vado più in palestra, ma mi alleno da sola perché amo il movimento, mi piace studiare le lingue, la storia e l’arte) sono stanca di esserlo perché sfinisce. Non avere un posto mio, mi fa stare perennemente male. Ultimamente ho iniziato ad imprecare a voce alta, quando sto da sola, dico parolacce, sbatto le cose. 

Sto scrivendo, forse, con la speranza di sentirmi dire una cosa diversa da “non hai pazienza, i posti di lavoro sono tutti così, di che ti lamenti, stai a Firenze, mica stai in capo al mondo, i ragazzi crescono“. Tutte scelte che ho fatto io eh, sia ben chiaro, ma se accenno ad un cambiamento… TRAGEDIA! Sei matta a lasciare un posto fisso! Sei matta a tornare e poi stai da sola, lontana da G.! Non lo so, ma penso di poter sopravvivere. 

Non so se mai mi risponderai anche perché non so nemmeno cosa ci sia da rispondere, però continuerò a seguirti sul suo blog perché mi diverto!

Tanti cari saluti e… sempre forza Roma!

PS il mio compagno è pure Laziale… e nun c’ho pazienza! Mah.

A.

Cara la mia romana de Roma, partiamo dalla fine. Io non so tifosa però so cresciuta a Testaccio e quindi sento l’obbligo morale, quindi sì, forza Roma. E proprio dalla fine partirei anche con la versione seria sul quesito che ti poni: ma che ce stai a fa co’ uno della Lazio? Che c’hai da sconta’? Che hai fatto che te stai a puni’ così tanto?

Il titolo che mi è venuto in mente è la dedica di un film di Salvatores, Mediterraneo, che se per caso non avessi visto, te lo consiglio perché è molto bello. Ma la verità è che il quesito che tu ti poni penso sia la domanda più preziosa con cui abbiamo a che fare, ossia “NDO CAZZO STA CASA MIA”. Insieme a questo ne poni un altro, altrettanto sacro, la domanda da un bilione di anni, è più coraggioso chi se ne va o chi rimane?”. Quel tipo di domanda su cui si è costruita l’umanità: annamo a vive in città invece che in campagna? Dipingemo le mucche sui muri oppure annamo a caccia’? Lo lascio o non lo lascio, essere o non essere, mettere radici con i figli o viaggiare sempre, allontanarsi dai genitori o prendersi cura di loro, uscire o stare a casa, soffrire o fare finta di no, lasciarsi andare oppure no, aprire un baretto del cazzo in Messico e continuare a timbrare il cartellino. Insomma mo’ non so se è un delirio estivo, però mia cara te giuro che me pare tipo LA DOMANDA. Solo per questo penso manchi LA RISPOSTA. Perché non ce ne sta una ma mezzo milione.

Ricordo in ordine sparso: mia madre che negli anni 90 si fa fare una t shirt da un’amica con su scritto “M’avete stufato tutti quanti“, la prima volta che vidi Un giorno di ordinaria follia con Michael Douglas e quando lui si alza dalla macchina io mi alzo dal divano e batto le mani, la prima volta che capii che i barboni schizofrenici a modo loro dicono tante verità quando se la prendono con tutti, i film di fuga dalle prigioni TUTTI QUANTI, Riusciranno i nostri eroi co’ Alberto Sordi, la prima scena, l’ultima ma pure quelle in mezzo, il conte di Montecristo che ci mette mi pare un ventennio a capire come uscire e vendicarsi, la prima volta che sentii parlare delle feste di divorzio. Questa lista a casaccio per dirti ancora quanto penso tu porti con te la chiave di una vita nuova, sia che tu rimanga sia che tu non lo faccia. Se rimani però serve capire il senso profondo del tuo sacrificio, paura della solitudine (ce l’avemo tutti), paura di tornare a casa, paura di ricominciare (sicura? l’hai già fatto una volta e santo cielo non sarà stato facile ma eri sempre tu), paura che sia troppo tardi perché si vabbè la vita comincia 50 anni solo sui libri di auto aiuto.

La rabbia è l’unica emozione corretta quando sentiamo di non essere ascoltati e sentiamo le ingiustizie, nel senso che è allo stesso tempo una risposta sana e una risposta demmerda perché poi si espande a macchia d’olio e qualsiasi mondo (i fiorentini che conosco so tanto carucci giuro però certo è una città ingombrante da un punto di vista di identità, esattamente come la nostra) finisce per sembrare ostile. Si espande sulle cose più piccole, finisce l’insalata che ci piace al supermercato e ci pare di essere perseguitati dal destino, sbatti il mignolo del piede sulla porta e ti viene voglia di abbattere tutta la casa, ti ritrovi i nodi nei capelli sotto la doccia e ti viene da piangere e piangi come dice De Andrè sotto la doccia, perché uno rimane arrabbiato solo perché quando si concede di non esserlo, sente dentro un oceano così grande, ma così grande che non esiste una diga che lo contenga, e allora se lo tiene e la marea cresce ogni giorno, regalandoci qualche tsunami come forse quello di quel giorno che hai detto a Google che non ce la stavi a fa più.

Sai di cosa sarei curiosa, di sapere chi è che dice TRAGEDIA, chi è che ti dice che ma ndo vai? Se sei anche tu che lo dici certo è un conto, se sono gli altri, i cari, quelli che ti conoscono, che ti vogliono bene, che tifano per te ma che non sono te, beh, non sono te. E queste, “signora mia” sono cose che in fondo uno può negoziare solamente con se stesso.

Sai che potresti fa, oltre a pensare che la parola coraggio viene da cuore (quando si dice ascolta il tuo cuore e tutte quelle fregnacce) compiere un piccolo grande atto di fuga e ribellione e vedere come ti trovi, se ti senti a casa nel dire no grazie non ci sono quei giorni sono in un rifugio benedettino in val di boh. Casa dicono è dove sta il cuore, non ho mai capito cosa si intenda, credo i cari che amiamo, però l’amore non basta e quindi la cosa si complica. Quello che so è che ogni volta che ho chiamato qualcosa o qualcuno casa, l’ho sentito quando ci sono entrata e mai prima.

Ti piace quello che vedi dalla finestra la mattina quando ti alzi, ti piace quella luce, quello che vedi? Ti auguro di ritrovarla la casa, nel frattempo come i paguri, la casetta un po’ ce la portiamo dentro, pure questa è na banalità, però una de quelle che me fanno sempre piagne.

Una delle mie canzoni preferite da ragazzetta era la storia di questa tipa che mollava tutto, vendeva tutto, se metteva in macchina da sola con la musica e se n’annava senza guardare nello specchietto. Quindi scusa se forse ci ho messo troppo del mio, però credo davvero che tu sia tutti noi.