Cara Olimpia, è un po’ che leggo il tuo blog e volevo un tuo parere spassionato. Sono due anni e mezzo che è morto mio padre, improvvisamente, era uscito per lavorare e dopo mezz’ora arriva la chiamata, e da allora mi sento… vuota. Sono sempre stata una persona che ama ridere e ama vivere ma ora ho dei periodi di nulla totale, come se non sentissi più nulla nei confronti della vita, come se ogni cosa andasse avanti e io sia rimasta lì, persa da qualche parte indefinita. Come ha detto Luigi Tenco, “sono fuori di me e sto in pensiero perché non mi vedo rientrare”. Si alternano con periodi di tristezza e dolore infiniti. È come se il mio corpo andasse in una direzione, la mia mente in un’altra e il mio cuore in un’altra ancora. Mi sento letteralmente a pezzi. Sono una persona che non ama far preoccupare gli altri quindi questa parte di me, divisa, è rimasta dietro la facciata di una persona forte a cui non serve aiuto… finché non è successo la prima volta, un’attacco di panico. Mi sentivo impazzire. Nel mentre ho conosciuta una persona che sembrò quasi ricompormi, ero pazza di lui, mi è sembrato quasi avere un respiro di vita, come se fossi rimasta sott’acqua un’infinità e fossi finalmente riemersa per un respiro, ma alla fine poi mi ha solo dato il colpo di grazia. E gli attacchi di panico sono aumentati, peggiorati. Sono seguita da un terapista da circa due mesi, perché sentivo che con quelle crisi una parte di me moriva ogni volta, finché mi sono detta “Che rimarrà di me alla fine?”. La diagnosi è stata “Sindrome da Stress Post-traumatico”: tutto coincide, insonnia, incubi, ricordi e pensieri ricorrenti, flashback, evitamento di situazioni, sentimenti negativi… e mi sono difesa con il vuoto. È poco che ho iniziato il percorso ma il mio cruccio è “Si può guarire realmente dall’abbandono?” Si può guarire dalla sensazione di essere state abbandonate, in modo volontario o in modo involontario, perché non si è abbastanza? O una parte di me sarà sempre divisa e continuerò a difendermi annullando ogni sensazione?Perché questo vuoto è assordante e non lo tollero più.
Un saluto affettuoso
A.
Cara A.
Ti ringrazio per avermi fatto conoscere questa frase di Tenco che non conoscevo, è davvero meravigliosa e non la dimenticherò mai.
Mi dispiace tantissimo ma da me è difficile ricevere un parere spassionato, io mi appassiono sempre, quindi prendi il parere che ti darò per quello che è: solo il modo in cui mi sembra di riuscire a vedere le cose che mi racconti da una piccola finestrella attraverso cui vedo il mondo.
È morto tuo papà da un tempo non abbastanza lungo perché tu possa considerare il tuo lutto lontano. O se preferisci lontano, lontano. E mi dispiace anche tu senta il bisogno di identificarti con una diagnosi che non dice nulla di quello che sei, dice soltanto qualcosa sul fenomeno, cioè su come certe cose appaiono fuori di te, rispetto a quello che senti dentro. Lungi da me muovere critiche ad un collega di cui non conosco nulla, ma vicino a me dirti che il disturbo etc etc, nasce nella sua definizione dopo la guerra del Vietnam, per provare a spiegare che cosa succedeva a questi poveretti che ritornavano da un conflitto ferocissimo durato venti anni. Venti anna mia cara A. Venti anni di ferocia e rumori di proiettili e morti ovunque e bombe ovunque e paura sempre. Con questo non voglio sminuire il tuo sentire, anzi, lo vorrei nobilitare. Perché non c’è niente di più nobile che soffrire sconfinatamente per la morte di un genitore e non c’è niente di più umano che provare a sostituire un vuoto con un pieno qualsiasi e non c’è niente di più classico che scoprire che non puoi riempire un oceano con un bicchiere d’acqua e non c’è niente di più frequente che vedere il nostro corpo ribellarsi come cazzo può al male che sente.
Di attacchi di panico si parla così tanto senza a volte dire quasi niente, o meglio senza dire che ogni attacco di panico ha un motivo di essere, sono segnali che il motore è in panne, come una di quelle spie del cruscotto che tendiamo a ignorare. Pensa, un mio amico si è fatto scollegare tutti i cavi delle spie così sta tranquillo, dice lui. Io dico speriamo che non gli si fermi la macchina in mezzo all’autostrada di notte. L’attacco di panico è brutto, ti toglie il respiro e ti fa sentire che quel guscio che è quasi tutto ciò che abbiamo, non risponde più ai comandi, ma non colpisce mai a caso, colpisce per ricordarci qualcosa che stiamo cercando di non vedere. In fondo il panico è “solo” una paura che ha preso un sacco di integratori, è un fiume che ha troppa acqua e rompe gli argini. E se tu non avessi paura di tutto in questo momento, mi sembrerebbe ancora più strano. Paura che non sarai mai più felice e che niente su questo mondo potrà mai rimetterti in ordine, paura che ogni persona che amerai ti lascerà sola, paura, paura, paura, panico. Anche a me capita che mi vada in panne il motore, quando sento che sono una e le cose che mi assediano duemilatrecentonovantatre, anche a me capita di rivivere proiettili e bombe e rumore di lamiere e dialoghi che si ripresentano nei sogni e che non vogliono lasciarmi stare, quando qualcosa di terribile mi è capitato, quando sono stata lasciata, quando un pitbull ha aggredito la mia povera bastardella che è grande più o meno quanto una bottiglia di Ferrarelle, quando sono stata triste come mai prima e quando sono andata a sbattere con la macchina e si è accartocciata tutta quanta con me dentro. Ho passato notti a scansare suoni e brividi, giorni a cercare di annaspare come una che non sa più come si nuota nell’aria, giorni in cui ho mandato giù mezze compresse di ansiolitici solo per attraversare la strada e giorni in cui non mi vedevo più tornare.
E poi sono tornata, anzi, sono cambiata. Così tanto che mi pare la vita mi si sia allungata anche se nel frattempo è passata e quindi è diventata più corta. Ma mi sono seduta sulla cima di questa montagna di merda e ho pensato, però, che bel panorama che c’è da qui, prima non lo vedevo.
Tuo papà non è morto perché tu non sei abbastanza ma perché la natura ha deciso per questa ingiustizia, al posto suo e al posto tuo, questo uomo non ti ha lasciata perché tu non sei abbastanza, ma perché le leggi dell’amore sono altrettanto ingiuste. Le tue diagnosi non ti stanno accompagnando perché sei fragile o perché sei malata, ma perché il confine di quello che un essere umano può contenere non è illimitato.
Vorrei, se potessi esprimere un desiderio, che tu ti possa concedere di soffrire e basta senza sentirti anche colpevole di non saperlo fare meglio di così, che andassi in un prato bello e guardassi come il vento sposta i fili d’erba, che chiamassi un’amica che non vedi da tanto e che vi poteste abbracciare senza dire niente, che prendessi le foto di quando sei stata piccola e ritrovassi le espressioni che hai sempre avuto e sicuramente hai ancora anche se non avrai voglia di guardarti allo specchio, che metessi per un attimo da parte il nome delle cose che fanno male e pensassi alla malinconia come qualcosa di prezioso. Ci ricorda tutte le passioni che sappiamo avere, ci ricorda i ricordi, ci ricorda che non tutto quello che perdiamo poi torna, ma che tutto quello che sentiamo ci appartiene.
L’abbandono non è una malattia e si guarisce solo dalle malattie, ma ci si può prendere cura delle piante anche se sembra che siano secche perché non è vero che lo sono, sono solo state trascurate per tanto tempo. Le case abbandonate dopo che le hai ricominciate ad amare, dopo che le hai colorate di nuovo, sono molto ma molto più interessanti di quelle che non lo sono mai state. Sono speciali.
Di te non lo so che cosa rimarrà, nemmeno di me, non lo so di nessuno. Però so che sei sicuramente fatta anche di questo tempo triste che vivi e sei fatta di tutti i pezzetti smembrati come un puzzle lanciato per terra. Qualcuno troverà posto vicino a qualcun altro, altri si incastreranno con forza, altri non serviranno nemmeno, altri ancora non li vorrai tu. Tu sei la tua colla migliore.
Altri pieni riempiranno questo abisso, però prima bisogna concedersi di sentirsi completamente persi in un paese nuovo, mai visto, in cui nemmeno volevamo andare. Il tuo corpo ti lascerà stare, i tuoi incubi diventeranno di nuovo sogni, datti il tempo di sentirti persa per sempre, altrimenti come farai ad accorgerti che qualcuno che ti somiglia e che allo stesso tempo è diverso da come ti ricordavi di essere sta bussando alla tua porta?
Aspettai domani
per giorni e per giorni
col sole nei campi
e poi con la neve
Chiedevo alla gente
quando torneranno
la gente piangeva
senza dirmi niente
Ma una sera ad un tratto
chiusi gli occhi e capii
e quella notte in sogno
io li vidi tornare
Ciao cara, ciao. Ti abbraccio forte forte.
Olimpia