Cara Olimpia,

Ti scrivo perché questa sera nulla riesce a rendermi felice e in un loop di sensi di colpa (visto che non posso lamentarmi della mia vita) ti lancio un grido d’aiuto! Ti scrivo perché non riesco ad essere me stessa, non riesco ad “arrabbiarmi” come fai tu, perché sto sempre a pensare se è giusto o se no e che impressione farebbe agli altri…Quindi opto per una perenne calma gentile, mentre dentro mi sento bollire…Di ansia, rabbia, di tutto…Ma nascondo…Finché non esplodo ma sempre in privato! La verità è che da piccola non ero affatto cosi, ma col tempo mi sono scontrata con cosi tanti muri che ho imparato a moderarmi sempre di più, ma in questo modo è come se avessi una corazza di gesso che mi immobilizza!

Come devo affrontare questo disagio? Come posso riuscire ad essere me stessa con moderazione ma senza ingessarmi? Grazie mille e complimenti per la tua rubrica, per il tuo blog e per il tuo bellissimo lavoro!

S.

Cara S.,

è ormai da qualche anno che dico di voler fare anche a Roma quella che hanno chiamato “Rage Room“, cioè la stanza della rabbia. Forse ne avrai sentito parlare, o magari no. Ad ogni modo si tratta di un posto; pensato originariamente in Giappone, poi portato in Serbia, Stati Uniti e, se vado aggiornata, anche Milano, dove entri e spacchi tutto. Sì esatto, ci sono delle cose dentro tipo vecchie bottiglie, mobili da buttare e così via e tu entri con una mazza da baseball e appunto spacchi tutto. Nel mio progetto ognuno si può scegliere la colonna sonora che preferisce.

Personalmente poi provo sempre un certo senso di soddisfazione quando nei film il protagonista si ribella a qualcosa o qualcuno, facendo una scenata da vero capo retore e mettendo ognuno al suo posto, sfoderando un eloquio che guarda manco Gorgia con un copione di Shakespeare. Oh sì, ammettiamolo. Per quanto disdicevole sia alzare la voce e dire le parolacce e sbatacchiare varie ed eventuali oggetti presenti nella traiettoria della nostra ira, la nostra ira è una notevole fonte di energia, che racconta con meno pudore un nostro sentimento. Per quanto sappiamo non sia cosa giusta, se ci capita di imbatterci in una rissa, rallentiamo per vedere che succede. E così potrei farti vari altri esempi ma sento che ci siamo capite.

Alcune persone hanno una valvola di sicurezza come quella delle pentole a pressione, che funziona meglio di altre. Io penso alla mia bisnonna che era di poche e severe parole. Una signorona romana che a tavola il tovagliolo non te lo passava, te lo lanciava. Non l’ho mai conosciuta ma posso dirti con sicurezza che c’è qualcosa di lei che è arrivato fino a me. Ma genetica e alberi genealogici a parte, a volte succede come dici tu. Ci provi una, dieci, duecento volte, ma poi scegli la strada che ti costa meno fatica, anche se non è quella che preferisci. Come qualunque cosa, anche la rabbia se non la usiamo mai, dopo un po’ si atrofizza.

Probabilmente tendola tutta per te e vedendola scoppiare solo ogni tanto quando proprio non ce la fai più e lontano da occhi indiscreti che potrebbero giudicarti, hai piano piano cominciato ad avere paura tu stessa delle tue reazioni e pensi che se dovessi mai scoppiare in pubblico, sarebbe di sicuro un macello. La fregatura è che proprio conservando questa energia per i momenti in cui sei stremata, la vedi comparire in tutta la sua magnificenza.

Sì, se te lo stai chiedendo, questo è quello che si chiama circolo vizioso e appunto ci manda in loop. Che poi volersi lamentare di qualche cosa anche se formalmente ci sembra tutto a posto, non è un crimine, anzi. Magari invece andrebbe tutto meglio se ci mettessi un po’ più di quello che sei in quello che fai. Lo so, è dura pensare che per esprimere la nostra opinione dobbiamo correre il rischio di deludere qualcuno, di non piacere a qualcuno, persino a noi stessi ogni tanto. Ma ti assicuro che ogni perdita è commisurata a un guadagno, il guadagno di nuovi aspetti che non pensavamo di avere o di saper esprimere.

Come una gamba ingessata da tanto tempo, non possiamo pensare di fare subito la maratona. Bisogna iniziare a rimettere in movimento quella parte, ma con moderazione e con calibro. Per questo ti vorrei invitare a fare un esperimento e vedere come che ne viene fuori. Prima puoi caricarti pensando a tutte le volte che avresti voluto parlare ma non hai detto nulla e vedendo il monologo di Edward Norton ne La 25 esima ora e la scena al fast food di Micheal Douglas in Un giorno di ordinaria follia, oppure se preferisci va bene anche Verdone che fa l’italiano emigrato in Germania che ritorna per votare, sta zitto per tutto il film, fino all’ultima scena in cui manda tutti al tappeto.

Una volta che ti senti bella rinvigorita e con le mani che ti formicolano prendi un bel foglio e buttaci dentro tutte le invettive ingiuriose più scostumate che ti vengano in mente. Vale prendersela con chiunque e qualunque cosa, dallo stendino che col vento si chiude sempre, al vicino di casa che sente a palla Gigi D’Alessio. Scrivi senza badare alla forma, alla maiuscole e alla grammatica e sopratutto senza censura. Fermati solamente quando senti che hai finito le scorte di proiettili verbali.

Se ci dovessi provare gusto puoi anche farlo più volte, tutte le volte che ti senti bollire. Secondo me scoprirai che lì dentro c’è molta più capacità di incazzarti di quanto pensi ma meno rabbia di quanto temi possa esserci. Anche la rabbia, come tutte le tentazioni, ha bisogno di qualche concessione per fare sì che le si possa resistere. O comunque concedendotela in maniera libera e allo stesso tempo anche protetta, potresti capire meglio qual è la direzione in cui vorrebbe andare.

Una curiosità dal mondo Psi: esiste la Terapia dell’Urlo Primario, inventata da Arthur Janov, in California negli anni ’70. Secondo l’autore se ti tieni tutto dentro t’ammali (ovvio che qui potremmo annoverare una lista cospicua ma volevo essere severa e sintetica tipo la bisnonna) quindi devi urlare perché ti fa bene. Janov è diventato nome noto nella musica perché ebbe tra i suoi pazienti anche John Lennon (non so te ma io ce lo vedo che urla col gonnellino di foglie di castagno sulle scogliere del Big Sur) e la sua teoria ha ispirato il nome di ben due band degli anni ’80, I Primal Scream e Tears for Fears, ma pensa un po’.

Poi un’altra cosetta che magari può tornarti utile, se ti capita di voler dire una cosa per la quale pensi che qualcuno possa rimanerci male, prova a dire subito che ti dispiace pensare che quello che dirai farà dispiacere l’altra persona e che vorresti non dirlo, ma che lo dirai lo stesso così che casomai se ne possa parlare insieme. Può sembrare una sciocchezza, ma avvisare l’interlocutore che staremo per essere sgradevoli, è un modo per risultare meno sgradevoli, senza però rimanere in silenzio. Oh artifici della retorica, oh captatio benevolentiae, oh pizzico di paraculaggine se vogliamo!

Tante volte succede che smettiamo di dire di no perché ha i suoi vantaggi, però finiamo per occupare il ruolo degli accomodanti e non è per niente facile interrompere un copione che conosciamo a memoria. Se vogliamo costruire una nuova abitudine dobbiamo muoverci per passi così tanto piccoli che nemmeno noi ci accorgiamo di stare trasgredendo a quella parte più allenata di noi stessi, eppure così tediosa. Facendo piccoli variazioni sul tema disobbedienza alla gentilezza cieca, correrai non solo il rischio che qualcuno disapprovi, ma anche quello di finire in interessanti discussioni in cui ti riscopri ragionevole ma non indifferente.

Ti saluto con una frase di un altro autore del girone degli irosi, Emil Cioran, che diceva: Se obbedissi al primo impulso passerei le giornate a scrivere lettere di ingiurie e di addio. Le giornate tutte magari no, però quei cinque minuti quando ti prendono i cinque minuti, beh cara, secondo me sono tutti tuoi.

Un abbraccio,

Olimpia 

 

 

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