Raccomandazioni generali: la presente, sintetica descrizione dell’uomo non serva a sperimentare quelli che possono sembrare facili trucchi da soli in casa. Tutto ciò che sembra molto semplice è frutto di anni di studio e forti idee, le cui fondamenta possono essere ammirate o criticate, l’importante è non correre mai con le forbici in mano, ma prenderne spunto per libere riflessioni.
“Che razza di vita sarebbe se me ne restassi a casa seduto tutto il giorno?” Così disse il protagonista della storia di oggi, pochi giorni prima di morire mentre si trovava a Vienna per un ciclo di conferenze.
Steve De Shazer (Stiv DeSceiser) nasce in Milwaukee, nello stato del Wisconsin (quanto mi piace dire Uisconsin) da padre ingegnere elettrico e madre cantante d’opera. Prima di diventare psico, si lancia nel mondo dell’arte e della musica, diventando pure un sassofonista pro. Di lui si dice pure fosse molto interessato alla cucina, io dico che è perché è uno di quei pochi momenti in cui noi psi proviamo gusto nello stare zitti e possiamo creare un buon risultato, ma insomma questo lo dico io, alla fine chissà perché, ma soprattutto perché no.
In questo clima di domandarsi è lecito, rispondere non sempre, entriamo a bomba in quella che sarà la sua creatura, la Terapia centrata sulla soluzione, di cui fu fondatore insieme alla moglie, psi pure lei, Insoo Kim Berg (di origini coreane, direi Insu kim berg), nel 1978.
Insomma a 38 anni suoi e qualcuno in più della moglie che era più grande, decidono insieme che basta con questo rivoltarsi a doppia panatura nella ricerca delle cause, piuttosto costruiamo una soluzione.
Qui vedo anche qualche profano infilarsi le mani tra i capelli e gridare all’eresia. Infatti come possiamo credere nella buona riuscita di una terapia che per definizione attacca il nocciolone duro di tutte le terapie. Su questo, da agnostica quale, sono, lascio a ognuno la libertà di interrogarsi a modo suo.
Io penso che fu in buona parte l’incontro con il ragionar del Mental Research Institute, luogo di Palo Alto che andava alla grandissima dagli anni ’60, luogo di cui riparleremo in riferimento ai vari psi che lì dentro hanno lavorato, luogo che la vostra Olimpia ha visitato nell’anno della sua laurea e scoperto trattarsi di una piccola casetta con fiorellini all’ingresso. Questo solo per fare la figura della giramondo, of course, e per dirvi che molto del progresso pare accadere non tra i blocchi di cemento delle enormi città, ma lì dove le strade sono piccole e i tetti bassi. Fu che ognuno sceglie ciò in cui preferisce credere e in alcuni casi lo porta avanti tutta la vita, ispirato dal sacro fuoco della giustezza. Forse è stato una sorta di folie à deux condivisa con la psicomoglie, forse il movimento degli Yuppies del decennio successivo che ci voleva tutti rampanti e presi a bene nel realizzare noi stessi, forse il non troppo vecchio ma legittimo emendamento americano nel diritto alla felicità. Davvero non possiamo saperlo e come direbbe Wittengstein (molto caro peraltro anche a Steve), di ciò di cui non si può parlare, è mejo stasse zitti.
Quindi torniamo ai fatti, l’obiettivo di Steve e Insoo era tutto centrato sulla costruzione di una soluzione al problema, senza pensare al problema o meglio pensando a come in altre occasioni la persona con quel problema lo avesse già risolto e a cose di buono sapesse fare quella persona. Ma per dirla meglio, per loro era importante andare sempre a caccia delle eccezioni e cercare di partire da quelle per costruire un futuro meno problematico. Per dire, a chi soffrisse di una terribile timidezza generalizzata, individuare se ci fosse un contesto in cui non si presentasse e cominciare a sbandolare da lì. O per fare un esempio più harderello, chiedere a qualcuno che si mostra meditabondo sul togliersi la vita, “Come mai ancora non l’hai fatto? Cosa ti ha trattenuto?” a una persona molto depressa “Come fai a portare avanti le tue giornate dal momento che non ci vedi alcuna speranza?” Ora detta così può sembrare molto banale, dal vivo è una questione diversa, non priva di insidie. Si può però certo dire che sia sofisticatamente semplice, questo sì. Per i curiosoni, online si trovano le 100 domande più gettonate dalla Terapia centrata sulla soluzione, con relativa spiegazione. Giusto per farvi vedere come quando una cosa un po’ funziona, i discepoli cercano sempre di costruirci sopra un Vangelo.
Tra le cose usate da Steve ce n’è una, anzi due che trovo molto carine. La prima è la così chiamata “Miracle question” che recita più o meno così: Metti che stanotte succede un miracolo e che una grande bacchetta magica ha risolto il tuo problema durante la notte. Ti svegli e da quale piccolo indizio ti accorgi che il tuo problema non c’è più?” A cui penso la maggior parte di noi risponderebbe “dal fatto che non mi sento sto cazzo di peso sul cuore che mi fa svegliare come se fossi la reincarnazione di Cesare Pavese”, giusto? E qui Steve avrebbe incalzato cercando di farci formulare una risposta più semplice, del tipo mi accorgerei che non ho più il peso sul cuore perché non rimando più la sveglia ma mi alzo a farmi un caffè. Ed ecco che si comincia a costruire questo quadro di noi che stiamo meglio e con piccole cose molto concrete proviamo a trasportare questo quadro immaginario, nella bieca realtà e ci ritroviamo a farci il caffè, con magari sottofondo di podcast poesie di Pavese, ma comunque in piedi.
Altra cosa che trovo carina è la fase dei complimenti, sì esatto, i ohhh ammazza che bravo che sei stato a farti il caffè questa mattina! Che venivano dispensati dopo una piccola pausa che lo psi si prendeva a metà seduta. Sempre secondo me perché magari pure lui sentiva il bisogno di farsi un caffè, buttarci in mezzo una sigaretta, prendere prospettiva come quando una parola non ci viene subito in mente e dobbiamo stare un momento in silenzio per capire la parola che volevamo dire.
Poi troviamo le scale, usate per monitorare l’andamento della terapia e, di nuovo, per costruire insieme alla persona in problemi, un cono di luce sul prossimo passo da compiere per arrivare a quella che lui considera la prossima tappa e così fino alla tappa 10, in cui si suppone che vada tutto come vorremmo.
Enumerando la questione (enumerare è importante per ricordarsi le cose e far sembrare che stai tenendo il punto), i presupposti della terapia creata da Steve e coniuge, sarebbero grossomodo che:
Le persone devono voler cambiare
Le persone sono le più esperte e devono sviluppare i propri obiettivi
Le persone hanno già tutte le risorse e le forze a disposizione per risolvere i loro problemi
La terapia deve esse breve
E deve esse focalizzata sul futuro
Chiaro?
A questo punto uno si immagina il nostro Steve come un simpatico mattacchione dedito al consumo di the verde e prodigo di sorrisi. Invece manco pe niente. O almeno così ho sentito raccontare in un’intervista a tal Louis Cauffmann, psicologo belga che ce lo ebbe come maestro. Pare fosse un tipo piuttosto taciturno, la cui espressione preferita fosse “mmm”, mentre teneva le gambe accavallate e nella mia testa diventa subito Sherlock Holmes. Louis racconta che una volta gli fece un intervento su un suo intervento in seduta, tirando in ballo tutta la teoria sistemica, la società, l’astrologia orientale e occidentale, finché Steve non lo guardò e gli disse “Louis tu ci pensi troppo, prossima domanda”.
A Steve piaceva controllare quello che si può controllare, gli piaceva dire cose come “Il punto da cui guardi le cose determina ciò che puoi vedere e ciò che non puoi vedere. Un cambiamento di prospettiva è tutto ciò che ci serve per cominciare a cambiare”, a Steve piaceva lavorare, gli piaceva sua moglie e si direbbe fosse ben ricambiato, dal momento che la poverina è morta solo qualche mese dopo il marito, e si sa come funzionano queste cose, a Steve piaceva il linguaggio, nelle sue risorse che creano mondi, chissà che non sia per questo che è morto proprio a Vienna, lì dove il filosofo era nato.
Bene, per oggi abbiamo terminato anche se in realtà abbiamo solo aperto una pagina, delle moltissime che si possono aprire per guardarci meglio dentro. Stanotte però magari provate a farvela quella domanda miracolosa, potrebbe sempre muovervi qualcosa di stimolante. Nel frattempo che i pensieri si muovono, vado a mettere su il caffè e chissà che non muova qualcosa anche a me, mentre ci penso, tra una luna e un falò.
Olimpia Parboni Arquati